La Mindfulness (meditazione di consapevolezza) nasce grazie ad un incontro tra il Dalai Lama e Jon Kabat-Zinn mirato a misurare scientificamente quanto la meditazione sia di beneficio su tutti i livelli. È stata così portata in ambito ospedaliero tra i malati oncologici e cronici, malati con malattie degenerative e malati sottoposti a grande dolore. Si è scoperto che la pratica di consapevolezza porta grande sollievo soprattutto nell’interpretare il dolore e quindi nella relazione con il dolore. Si è visto dunque che il metodo semplificato e laico della meditazione funziona per un pubblico eterogeneo al quale porta resilienza e benefici.

Il dolore è una reazione intelligente che si mantiene svolgendo una funzione. Accettando il dolore cambia radicalmente la sua stessa entità.

 

I 7 PILASTRI DELLA MINDFULNESS 

Per coltivare la consapevolezza è importante assumere un atteggiamento di completa apertura mentale e di completa disponibilità, per approdare ad una accettazione delle cose così come sono.

I sette aspetti fondamentali dell’atteggiamento con cui ci approcciamo alla meditazione e che ci aiutano poi nella vita quotidiana sono:

  1. NON GIUDIZIO: Lasciar andare le aspettative e non giudicare la prestazione. Quando inizio un sentiero di pratica meditativa mi addestro ad un atteggiamento di “testimone imparziale“, mi addestro a lasciar andare il giudizio dei risultati fino a portare questa attitudine nelle mie relazioni con gli altri.

Altro è il discernimento, per cui non giudico il valore della persona che è inestimabile ma posso esprimere una cosiddetta “critica costruttiva” che mi aiuta a valutare dove e come migliorare sul sentiero.

Il fondamento resta sempre “mi amo e mi accetto per come sono” dove questo come sono è soggetto all’impermanenza dei fenomeni, poiché il tessuto mentale è tessuto cangiante, cambia momento per momento, cambiando cause e condizioni.

È importante sapere che questa possibilità di cambiamento è la possibilità del risveglio che avviene a livelli di intensità sempre crescenti, per cui le notti dell’anima ci saranno ancora ma per quanto ci si spinge nel fango ci si risveglia con sempre maggiore intensità, con una più accurata definizione di sè.

  1. PAZIENZA: Non avere fretta di vedere risultati. Se mi distraggo durante la pratica vado a vederne la causa poiché di sicuro c’è una resistenza al cambiamento. Questa resistenza che è una forma di sofferenza non è a noi nuova e difatti pur di non ritrovarci spiazzati di fronte al cambiamento siamo disposti a continuare a soffrire. La pazienza è una forma di saggezza, è un concetto vicino a quello dell’equanimità.

È necessario ricordarsi che “si procede” anche quando apparentemente sembra di essere fermi poiché lo stare fermi è un’illusione. L’essere umano può essere paragonato al funzionamento di un gradino: nella alzata non procede in orizzontale ma in verticale (per cui sta magari elaborando il passo) e viceversa nella pedata procede in orizzontale ma non in verticale (per cui è più nel fare che nel meditare). Sono in sostanza due movimenti distinti ma sono sempre movimenti.

  1. LA MENTE DEL PRINCIPIANTE: Continuare ad approcciarsi alla pratica sempre con la freschezza e l’ingenuità del principiante anche se si pratica da molto tempo.

Rigenerare quella freschezza per cogliere la ricchezza del momento presente, per imparare a guardare le cose come se le vedessimo per la prima volta, senza dare nulla per scontato e lasciar cadere le aspettative sulle esperienze precedenti. Nessun momento è uguale ad un altro.

  1. FIDUCIA IN ME STESSO E NEL METODO: Può essere banale ma occorre rifondare la fiducia in se stessi e far si che sia di vero beneficio nel tempo. Occorre rifondare anche la fiducia in un metodo che ha migliaia di anni e che “funziona” su ogni tipologia di persona e in tutte le sue forme che sia la meditazione attiva, camminata, formale etc.

Apprendere la consapevolezza significa proprio imparare ad ascoltarsi. Si apprende così ad essere se stessi e trovare in sè la propria guida per essere pienamente sè stessi.

  1. ACCETTAZIONE: Accetto ciò che è per come è. Ci sono dei limiti temporanei entro il quale mi sto manifestando in questo momento e in questo corpo.

Accettazione non significa rassegnazione o accettare passivamente le cose o rinunciare ai propri bisogni, ma disponibilità a vedere le cose cosi come sono, senza giudizi. L’accettazione è il presupposto fondamentale del cambiamento che è invece spesso ostacolato dal forzare situazioni come noi vogliamo, creando in questo modo ulteriori tensioni. Ognuno di noi ha delle sfide diverse da osservare, tutto ciò che non posso cambiare ne prendo atto e basta (chissà che non lo possa cambiare domani attraverso la perseveranza, ma questo non posso saperlo!).

  1. TRANQUILLA PASSIONE: Entrare con serenità nella pratica senza aspettative o cercare risultati, praticare ogni volta con gioia e con sforzo entusiastico. “Se il desiderio c’è che sia rivolto verso il sentiero”, dicono i grandi maestri, anche considerando il desiderio il motore della vita.

Può capitare di fare una cosa per raggiungere un obiettivo eppure proprio il non cercare di ottenere risultati è il miglior modo per ottenere benefici. La meditazione di consapevolezza, nonostante richieda energia, ti porta solo a prestare attenzione a ciò che succede in ogni istante, osservandolo dal profondo elevato.

  1. LASCIAR ANDARE: Scavalcare attaccamento e avversione e stare nell’equanimità. Un esempio importante può essere lasciar andare l’attaccamento ai ruoli e all’immagine pubblica di se. Lasciar andare i risultati, gli schemi mentali piacevoli o spiacevoli: riconosco l’oggetto di attaccamento, riconosco la mente da cui sorgono e lascio andare.

Il non attaccarsi è anch’essa una forma di accettazione, per cui si impara ad osservare semplicemente e a distaccarsi. Apprendere la pratica della consapevolezza vuol dire anche imparare a distaccarsi dai pensieri, situazioni e sentimenti che la nostra mente vuole trattenere.

Questi pilastri sono magari ovvi per molti ma è importante ricordarli e soprattutto praticarli nel quotidiano.

 

Testo tratto da una lezione di Davide Cova e riadattato da Daniela Caloisi

 

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